Ammetto che la mattina sono un tantino pigra, ecco, diciamo pure un bradipo – di quelli che appena alzati, e anche fino a un paio di ore dopo, hanno l’occhietto un po’ appannato se qualcuno gli parla e soprattutto osa costringerli a parlare. Tuttavia non è questo il motivo che mi ha spinta, un pomeriggio come tanti altri in biblioteca, a scegliere proprio La casa del sonno tra i molti titoli disponibili di Jonathan Coe. Cioè, può darsi che forse (e sottolineo il forse) ne sia stata attirata per un moto del tutto inconscio, ma la versione ufficiale è che mi ha incuriosito la trama.
In effetti, chi se non un drogato dell'"ancora 5 minuti e mi
alzo" può apprezzare meglio il significato più immediato di questo libro? La domanda che viene posta infatti
è: ha senso passare almeno metà della propria vita a dormire? È un segno di
debolezza o di unione con la parte più profonda e segreta di se stessi?
Il
rapporto col sonno è il fil rouge che unisce i sei protagonisti in un intrecciarsi continuo - e discontinuo - di eventi, che li porteranno a diventare adulti disadattati. E' ciò
che condiziona la loro vita e che ne modifica idiosincrasie e sogni, mentre
sullo sfondo torreggia Ashdown, la lugubre e imponente villa in cima al
promontorio, casa degli studenti negli anni ’80 e poi, dodici anni dopo e mica
per caso, clinica in cui si studiano i fenomeni legati al sonno.
Lo scopo della clinica è quello di "restituire all'umanità un terzo del tempo sprecato a dormire", e a tale ricerca scientifica sono dedicati anche misteriosi e inquietanti esperimenti, che tuttavia anziché portare nuova luce sprofondano in una lucida follia. Il distacco fra i vari personaggi è palpabile, ognuno perso in un mondo sospeso e confuso, in cui nemmeno la propria identità è certa e il confine tra sogno e realtà si fa sempre più labile, al punto di invertirsi nel caso di Sara e di sostituirsi completamente in quello di Robert.
Stilisticamente, i capitoli alternano passato e presente ricostruendo piano piano il puzzle di queste identità spesso fatte a pezzi e poi ricomposte, "disbrogliando" apparenti incongruenze. Concetto espresso anche attraverso la chiusa e l'apertura dei capitoli stessi, che lasciano in sospeso una parola per poi riprenderla all'inizio del capitolo succcessivo in modo da rompere lo spazio-tempo anche della lettura.
Catapultata nell’atmosfera culturale e universitaria degli
anni ’80 in Inghilterra, ho visto emergere il disincanto, la pazzia, ma anche
l’amore. Amore per l’altro, amore per l’arte, amore lesbico o che in esso si trasforma, ma in ogni caso sempre amore assoluto,
senza compromessi, vissuto con tutto il trasporto della giovinezza, che solo un
tradimento – di ciò che si è, di ciò che si avrebbe dovuto essere – può
spezzare. La perdita trascina tutto via con sé, e lascia una profonda
solitudine nell’anima di chi l’ha subita. Eppure il colpo di scena è dietro
l’angolo, e l’inaspettato apre la notte a un futuro – forse – pieno di sole.
Mi ha sempre ispirato da quando me lp'ha consigliato un'amica. Appena potrò lo comprerò per togliermi questa curiosità :) Benvenuta nel mondo blogger :)
RispondiEliminaEvviva evviva, sei la mia prima follower! Grazie Lucrezia! :D
Eliminaps. Quando lo leggi fammi sapere cosa ne pensi... ;)